La via giusta
Abbiamo conosciuto Gabriele nel novembre del 2008, in occasione della decima edizione dei Premi
di Studio “Giovanni Zampese”. Non era semplice immaginare che, in mezzo ai tanti ragazzi di
talento presenti, uno di questi sarebbe diventato un astro nascente della fisica di livello
internazionale. Ancora più difficile immaginare che oggi ne avremmo parlato al passato.
Il frutto del suo impegno e la preziosa eredità che ha generosamente lasciato alla ricerca medica
rivivono nelle parole del suo amico, e socio, Luca Ravagnan.
E’ difficile spiegare chi fosse Gabriele a chi non ha avuto il privilegio di conoscerlo, ed è
impossibile descrivere il vuoto che ha lasciato in tutti noi. Lo conobbi nel 2007, quando iniziò il
dottorato di ricerca, e da subito mi colpì il suo coraggio per aver rinunciato ad un lavoro sicuro a
tempo indeterminato – ma che non lo soddisfaceva – per la precarietà di una borsa di dottorato. Fui
inoltre impressionato dalla combinazione della sua motivazione, dalla sua instancabilità
nell’affrontare ogni cosa e dalla sua brillante intelligenza che conviveva con una grande modestia
d’animo. Aveva sempre timore di poter dare fastidio… In realtà nel giro di poco tempo sarebbe
diventato il punto di riferimento del nostro lavoro. Senza di lui, le sue idee e il suo entusiasmo
WISE, la “nostra” società di ricerca non sarebbe mai nata.
Tutto inizia nel 2009, quando noi, un gruppo di quattro ricercatori del Dipartimento di Fisica
dell’Università di Milano (Paolo Milani – professore, Luca Ravagnan – assegnista, Gabriele
Corbelli – dottorando e Cristian Ghisleri – laureando), capimmo che i risultati delle nostre
ricerche avevano un valore che andava ben oltre il semplice interesse scientifico. Mentre stavamo
conducendo degli esperimenti di scienza dei materiali ci eravamo infatti imbattuti in un imprevisto
sperimentale, che in breve tempo si dimostrò essere la scoperta di una nuova tecnologia da noi
battezzata Supersonic Cluster Beam Implantation (SCBI). Grazie a tale tecnica era possibile
incorporare circuiti elettronici complessi su manufatti di gomma, e tali circuiti erano in grado di
sostenere, senza danneggiarsi, grandi deformazioni oltre ad essere altamente biocompatibili. Ci
accorgemmo ben presto che nessuna tecnica precedentemente sviluppata aveva simili
caratteristiche, e comprendemmo che poteva essere alla base di numerose applicazioni.
Decidemmo quindi di depositare nel 2010 una domanda di brevetto a protezione della tecnologia, e
soprattutto che saremmo diventati soci di un’azienda che avrebbe avuto la missione di sviluppare
un prodotto basato su questa tecnologia.
Nei mesi seguenti, analizzando in dettaglio i diversi settori che necessitavano di componenti
elettronici elastici, constatammo che quello più promettente era quello della stimolazione nervosa,
e più precisamente degli elettrodi utilizzati dai neurostimolatori impiantabili. I neurostimolatori
sono piccoli dispositivi biomedicali composti da un’unità di alimentazione (simile a un pacemaker
cardiaco) e da uno o più fili elettrici (detti appunto elettrodi) che vengono posizionati all’interno
del cervello, sul midollo spinale, o in prossimità di altri nervi al fine di stimolarli con piccoli
impulsi elettrici; sono già oggi utilizzati con successo per la cura di patologie come il dolore
cronico, l’epilessia, la distonia e il morbo di Parkinson, ed è in fase di studio la loro applicazione
per la cura dell’Alzheimer o per la riabilitazione di pazienti paraplegici.
Tuttavia gli elettrodi per la neurostimolazione disponibili sul mercato sono dei “semplici” fili
elettrici flessibili ma non estensibili, che impiantati nell’organismo umano possono “spostarsi” o
addirittura rompersi, a seguito dei movimenti che i pazienti compiono durante la vita di tutti i
giorni, con conseguenti nuove, delicate e costose operazioni per la sostituzione dell’elettrodo.
Grazie alla nostra tecnologia, ci rendemmo conto che saremmo stati in grado di produrre elettrodi
completamente elastici, e quindi non soggetti a rotture, più sottili e flessibili degli attuali.
Sviluppammo quindi il nostro Business Plan, e in pochi mesi fummo in grado di convincere un
socio finanziario, Agite! S.p.A., delle grandi potenzialità della nostra ricerca e insieme ad esso
fondammo la società nel febbraio del 2011.
Da allora WISE iniziò a crescere velocemente, inanellando già nel suo primo anno di vita
importanti successi. Tra marzo e giugno del 2011 la nostra tecnologia venne infatti premiata
quattro volte per la sua innovatività sia in Italia che in Germania, e pochi mesi dopo il nostro piano
industriale ricevette il Primo Premio della Start Cup Milano Lombardia 2011 per il settore delle
scienze della vita (la “Business Plan competition” delle startup lombarde) e il Premio il
Nanochallenge 2011 assegnato da Veneto Nanotech. Quest’ultimo premio rappresentò per noi una
svolta importante, perché comprendeva un investimento di 300.000 euro nella società da parte di
Veneto Nanotech (che sarebbe diventato il nostro secondo socio finanziario). Nello stesso anno la
società ricevette un finanziamento agevolato da Finlombarda (Fondo SEED) e vinse alcuni bandi
di ricerca, che assieme all’investimento dei due soci finanziari fornivano alla società le risorse
necessarie alla propria crescita.
L’orizzonte che si prospettava davanti a noi era limpido e promettente, ma proprio quando tutto
sembrava andare per il verso giusto, il destino volle metterci alla prova.
Nella primavera del 2012 eravamo impegnati nella procedura di selezione per il BioInItaly, una
delle più prestigiose vetrine italiane per le startup biomedicali, alla quale avrebbero partecipato
numerosi investitori europei. Come sempre, in prima linea c’eravamo Gabriele e io, insieme
stavamo affrontando l’iter di selezione per poter aver accesso all’evento. Un piccolo malore nel
fine settimana, quel che sembrava una semplice influenza, aveva bloccato a casa Gabriele il lunedì,
giorno in cui ci venne comunicato che eravamo stati selezionati per partecipare all’evento due
giorni dopo, mercoledì 18 aprile. Il martedì Gabriele venne con me in ufficio a sistemare gli ultimi
dettagli della presentazione, instancabile come sempre nonostante non stesse ancora molto bene.
Lui, che metteva la Ricerca al centro della sua vita, era rammaricato di essersi ammalato proprio
in quei giorni; lavorammo insieme fino a tarda sera e ci salutammo dandoci appuntamento alla
mattina successiva in centro a Milano.
Quella sera fu l’ultima volta che vidi Gabriele. Nella notte un attacco di cuore lo portò via ai suoi
cari, a noi e ai suoi tanti amici.
Fu proprio pensando a cosa avrebbe voluto Gabriele che, poco dopo la sua scomparsa, noi di Wise
ci sedemmo attorno a un tavolo, e guardandoci in faccia trovammo la forza per decidere di non
fermarci, di andare avanti con ancora più tenacia.
Gabriele, se ci fossimo arresi, non ci avrebbe mai perdonato.
Dedicato a Gabriele dal suo amico e socio Luca Ravagnan