DUE ANGELI DISCESI DAL CIELO LA NOTTE DI NATALE
Mi chiamo Giovanni, per gli amici e genitori Giovannino; provenivo da una famiglia benestante.
Sì, provenivo, perché ormai sono un angelo del cielo.
Quando ero piccolo, avevo avuto tutto dalla vita: amore, affetto, coccole, giocattoli, ero stato come
si suole dire un bambino fortunato; in poche parole, ero la persona più importante della famiglia.
Ero contento della mia vita, anche se alle volte la trovavo un poco insignificante: ero cortese con gli
amici, sempre pronto ad aiutare chi si trovasse nel bisogno.
Tutto procedeva nel migliore dei modi, vivevo una vita come tanti ragazzi della mia età vivevano,
finché un giorno Dio mi volle accanto a sé.
Da buon cristiano decisi di obbedire, diventai così un angelo del cielo.
Nell’avvicinarsi del Santo Natale, in Paradiso esiste una regola: a ogni angelo viene permesso di
scendere sulla terra, scegliersi un ragazzo e con lui compiere una buona azione; questa buona
azione aiuterà l’angelo medesimo a risplendere di una luce più intensa.
Un anno scelsi Gabriele, un giovane molto buono, sensibile ai problemi altrui, sempre in prima
linea quando c’era qualcuno che avesse bisogno di lui.
Pensai a lui perché in fondo ci assomigliavamo.
Era la vigilia di Natale, tutti erano indaffarati a fare compere, chi a preparare cenoni, chi a incartare
regali; Gabriele aveva appuntamento con i suoi amici, presso un ristorante in centro a Milano.
Alle venti salì in macchina e, pieno di entusiasmo, si avviò verso la meta: era contento perché
sapeva che avrebbe rivisto tutti i suoi amici, anche quelli che non vedeva da vecchia data.
Percorsi pochi metri dal parcheggio, notò dell’immondizia sul ciglio della strada, e nello stesso
tempo udì dei sospiri provenire da poco lontano.
Anche se la paura era molta, decise di farsi coraggio e andò a ispezionare la zona, per capire cosa
stesse succedendo.
Avanzò di qualche passo e la situazione gli fu molto chiara.
Si trattava di un uomo molto sporco, malandato, dimenticato da tutti.
Il primo pensiero di Gabriele fu: “Gli lascio dei soldi e vado a festeggiare il Natale con i miei amici,
a lui ci penserà qualcun altro”.
Gabriele, però, non era un ragazzo così superficiale; decise così, con l’aiuto di un passante, di
caricarlo in macchina. Gabriele ringraziò il giovane, che a sua volta si presentò: “Mi chiamo Gio, e,
purtroppo, anch’io trascorrerò la vigilia di Natale da solo, proprio come quel mendicante”.
Decisero così di festeggiare l’arrivo di Gesù Bambino loro tre insieme.
Gabriele telefonò agli amici e li avvertì che li avrebbe raggiunti in tarda serata.
Trovare un posto per la cena non fu facile, tutti i ristoratori rispondevano di essere al completo.
I tre non si persero d’animo.
A un certo punto, il clochard disse: “Vi indico io un luogo che non avete mai visto, sono certo che lì
ci sarà posto e saremo accolti molto bene”.
Dopo qualche chilometro arrivarono.
Il ristorante era meraviglioso, ricco di luci; delle armoniche suonavano sinfonie melodiose; i
commensali erano allegri, era gente diversa da quella che si trova normalmente per strada.
Si respirava un’aria di tranquillità, si percepivano profumi di fiori, che Gabriele nella sua vita non
ricordava di aver mai sentito.
Gabriele si chiedeva come potesse un signore così malconcio, conoscere posti talmente belli.
Terminata la cena, Gabriele si offrì di pagare il conto per tutti, dopodiché si avviarono alla
macchina. Gio ringraziò gli amici e ritornò verso casa.
Intanto, Gabriele rifletteva su quella strana serata; durante la cena, il senzatetto aveva narrato gli
avvenimenti della sua triste vita, che lo avevano portato in quella situazione di degrado e
disperazione.
In mezzo a tutti questi pensieri, in cuor suo capì che non poteva abbandonare il povero mendicante
nuovamente sul ciglio della strada, proprio la notte di Natale.
Rifletté un poco e decise di portarlo pertanto a casa sua. Telefonò agli amici, si scusò per la sua
assenza e promise loro che si sarebbero rivisti a Capodanno. Gabriele era solito porre al primo posto
gli affetti, la famiglia, gli amici; era pertanto enormemente dispiaciuto, ma sentiva che non avrebbe
potuto agire diversamente.
La notte trascorse tranquilla, anche se Gabriele continuava a pensare a ciò che era accaduto: era
certo che quell’uomo avesse un fascino speciale; inoltre, ripensò al ristorante, ai suoni melodiosi e
ai profumi inconsueti: capì pertanto che la notte di Natale, accanto a sé, non aveva avuto Maria e
San Giuseppe, il bue e l’asinello, ma delle persone inviate dal cielo.
Tra tutti quei pensieri riuscì ad addormentarsi.
Giunse la mattina. Quando si svegliò, Gabriele non vide più nessuno, e nel letto trovò una lettera
scritta a caratteri d’oro.
In qualsiasi posto lui la mettesse, lei brillava.
La lettera recava queste parole: “Caro Gabriele, tu non ti sei accorto, ma Gio, il cui vero nome è
Giovannino, ed io, eravamo due angeli del cielo, scesi sulla terra per osservare come le persone si
comportano nella notte magica; eravamo curiosi di capire se ognuno pensasse a se stesso, o se ci
fosse anche chi si ricordasse del prossimo bisognoso di aiuto. Ieri sera ti sei dimenticato di te stesso
per aiutare una persona disperata: anche tu, questa notte, ti sei comportato da giusto delle nazioni,
perché, infatti, chi salva una vita, salva il mondo intero. Vedrai, ti sapremo ricompensare molto
presto; sotto l’albero di Natale, troverai una lettera del tuo caro padre: sappiamo infatti che entrò
nella Luce alcuni anni or sono”.
Il giovane si chiese perché proprio a lui fosse accaduta una cosa simile la notte di Natale.
Gabriele si precipitò verso l’albero di Natale, e, come indicato, vi trovò la lettera del suo caro padre:
“Caro figlio, volevo con queste brevi righe esprimerti l’immenso amore che ho provato, e tuttora
provo, nei tuoi riguardi e in quelli di tua madre; volevo dirti che io sto veramente bene, sono
arrivato molto in alto. Qui, infatti, vige la giustizia celeste; ognuno di noi è il risultato dei propri
gesti d’amore, compiuti sulla terra: per questo motivo vi sono differenti cieli, a cui noi siamo
destinati, a seconda delle nostre opere buone. Caro figlio, tu hai sempre amato la fisica, e le hai
dedicato tutti i tuoi percorsi di studio fino a ora; so che Albert Einstein aveva scritto una lettera alla
sua adorata figlia, nella quale le spiegava che la vera forza che muove l’universo è l’amore. Le disse
infatti che, “se invece di E = mc2 , tutti noi accettassimo che l’energia per guarire il mondo, può
essere ottenuta attraverso l’amore moltiplicato per la velocità della luce al quadrato, giungeremo
alla conclusione che l’amore è la forza più potente che esista, perché non ha limiti”. Caro figlio, io
non ho bisogno di spiegarti cosa è l’amore, perché sono fiero di come ti sei comportato ieri sera. Sei
una persona stupenda. Amo te e tua madre. Ricorda che un giorno la nostra famiglia sarà riunita, e
ci ritroveremo tutti nella gioia celeste”.
Gabriele strinse la lettera, alzò gli occhi al cielo, e ringraziò i due angeli per quell’immenso dono.
Andò a svegliare sua madre, e le raccontò tutto ciò che era avvenuto.
Anche Gabriele, alcuni anni dopo, terminò la sua esistenza terrena e raggiunse suo padre. Grazie ai
suoi studi di fisica e al suo grande impegno per il prossimo, alcuni anni prima di mancare ideò una
soluzione che forse, in futuro, avrebbe permesso alle persone colpite da alcune malattie
neurologiche di curarsi. La sperimentazione diede fin dall’inizio risultati positivi.
Ora anche lui è un essere di luce e, il prossimo Natale, scenderà sulla terra insieme a me per aiutare
due ragazzi pronti a compiere un’opera buona, verso i loro fratelli che sono stati meno fortunati di
noi.
Se osservate il cielo, in una notte stellata, vedrete che le stella che brilla di più è proprio quella di
Gabriele.
Qualcuno si sarà chiesto chi era il mendicante: era il papà di Gabriele, che aveva voluto trascorrere
la vigilia di Natale con suo figlio.
Dedicato dalla mamma